In Giappone gli scienziati dell’Università di Nagoya hanno scoperto tre nuove specie di vermi marini, pubblicando poi i risultati della loro ricerca su The Royal Society. La cosa curiosa è che queste tre specie sono state ritrovate in zone differenti del paese. Ma la vera peculiarità è che si tratta di vermi bioluminescenti: al buio emetteno una bellissima luce blu. Cosa che, effettivamente, ha ispirato i loro nomi.
Cosa si sa delle nuove specie di vermi marini giapponesi?
Le tre nuove specie di vermi marini del Giappone si chiamano:
- Polycirrus onibi: il nome deriva dall’Onibi, un demone del fuoco che guidava i viaggiatori nelle foreste presentandosi sotto forma di una luce svolazzante e rotondeggiante
- P. ikeguchii: in questo caso il nome non deriva da particolari personaggi del folklore giapponese, anche sei Ikeguchi è un comune cognome giapponese
- Polycirrus aoandon: il nome deriva dall’Aoandon, un fantasma che amava soggiornare nelle lanterne, dandogli una luminescenza blu
Comunque sia, questi vermi sono in grado di sprigionare questa forma di bioluminescenza grazie a reazioni chimiche all’interno del corpo. Un po’ la stessa cosa che succede con i pesci che abitano nelle acque più profonde o con alcune specie di meduse. Nel caso dei Polycirrus, è la molecola nota come luciferina che reagisce con l’ossigeno fornendo questa luminosità.
Non è ancora ben chiaro a quale scopo questi vermi marini usino questa forma di bioluminescenza. Questo perché alcune specie la utilizzano per spaventare potenziali predatori, altri per attirare le prede. E c’è anche chi le usa per attirare potenziali partner.
Tuttavia gli scienziati, grazie alle numerose immersioni fatte, hanno ipotizzato che, almeno nel caso dei Polycirrus, la bioluminescenza non sia usata come un metodo di comunicazione in quanto questi vermi tendono a vivere sepolti nel fango o nascosti nelle fessure delle rocce. Più che altro si pensa che la luminosità sia emessa in situazioni di emergenza e solo quando i loro corpi non sono più nascosti sotto il fango o quando vengono a contatto con potenziali predatori.
Foto: The Royal Society