Al di là dei titoli poetici, ecco che gli scienziati nell’Artico hanno scongelato dai ghiacci del permafrost un virus ancora attivo dopo 48.500 anni di permanenza al freddo. Da qui la denominazione di “virus zombie”. Tuttavia il virus rinvenuto adesso nell’Artico, protagonista di un articolo scientifico realizzato da Jean-Marie Alempic e Jean-Marie Claviere, non è certo il primo patogeno a risaltare fuori dal permafrost a causa dello scioglimento dei ghiacci provocato dai cambiamenti climatici.
Virus potenzialmente pericolosi riemergono dai ghiacci
Sembra quasi un film di Carpenter, ma non lo è. Il fatto è che il surriscaldamento globale sta progressivamente sciogliendo il permafrost, liberando così agenti patogeni che qui erano intrappolati da decine di migliaia di anni. Gli scienziati avvertono tutti: il rischio di potenziali pandemie o danni alla salute umana sono sottovalutati.
E questo perché nei ghiacci possono essere intrappolati non solo virus e batteri che l’uomo non vede da migliaia di anni, ma anche scorie (fra cui anche il pesticida DDT) e rifiuti radioattivi risalenti alla Guerra Fredda. Si tratta di rifiuti scaricati in queste regioni dalle grandi potenze mondiali senza pensare ai rischi per l’ambiente.
Lo studio
Jean-Michel Claverie, professore emerito di Medicina e genomica presso l’Università di Aix-Marseille a Marsiglia, in Francia, ha voluto testare dei campioni di terreno prelevati dal permafrost siberiano per vedere se eventuali virus presenti in esso potessero essere ancora infettivi. Ed effettivamente ha trovato qualche virus-zombie.
Già nel 2014 Claverie era riuscito a isolare un virus nel permafrost, rendendolo nuovamente infettivo per la prima volta dopo 30mila anni (era partito da virus “giganti”, più facili anche da osservare al microscopio). Il che non sembra una buona idea (anni e anni di film apocalittici di fantascienza ci insegnano che è una pessima idea risvegliare antichi virus), ma Claverie aveva scelto appositamente un virus che colpiva solamente amebe unicellulari, non esseri umani o animali. Stessa cosa ha fatto nel 2015 e adesso con lo studio pubblicato sulla rivista Viruses.
In particolare qui hanno isolato diversi ceppi di virus antichi, dimostrando che questi patogeni, pur essendo rimasti congelati per decine di migliaia di anni, se rimessi in coltura possono tranquillamente riattivarsi e infettare le amebe.
Claverie ha sottolineato che il fatto che le particelle virali possano essere così contagiose dopo tanti anni è segno di un problema molto grande e sottovalutato: c’è un serio rischio per la salute umana.
Ci sono altri precedenti con particelle virali ancora infettive
Ma non è certo la prima volta che vengono scoperti virus del genere. Nel 1997 dal polmone di una donna ritrovato nel permafrost è stato isolato un virus influenzale di un ceppo responsabile della pandemia del 1918. Nel 2012, poi, i resti vecchi di 300 anni di una donna sepolta in Siberia contenevano tracce di particelle virali del vaiolo.
Più recentemente, nel 2016 un’epidemia di antrace ha colpito parecchie persone e migliaia di renne. Ebbene, si ipotizza che il Bacillus anthracis responsabile sia saltato fuori dal disgelo del permafrost, rendendo nuovamente attive vecchie spore del bacillo.
Il rischio è che più il surriscaldamento globale e più i cambiamenti climatici andranno avanti, più virus e batteri del genere salteranno fuori, patogeni che l’uomo non incontra magari da migliaia di anni e contro il quale non ha difese.