Una pratica utile e a cui ci siamo abituati rapidamente è quella del reso degli acquisti online. Compri un vestito o delle scarpe online, ti arrivano a casa, li provi, noti che non ti vanno bene (anche perché da una foto è difficile capire se quel vestito potrebbe caderci bene una volta indossato o se quelle scarpe sono comode) e puoi fare il reso gratuito. Comodo, pratico e veloce. Ma anche poco sostenibile per l’ambiente, a quanto pare, visto che molte aziende stanno pensando di rinunciare ai resi.
Perché il reso non è sostenibile per l’ambiente?
Il fatto è che, per noi consumatori, il reso è gratuito. Ma per l’ambiente e le aziende no. A livello di sostenibilità, poi, è un vero e proprio disastro. Quando facciamo il reso, infatti, oltre all’imballaggio con cui noi lo spediamo indietro, c’è da considerare che, quando il rivenditore in questione riceve tale reso, deve aprirlo, controllarlo di nuovo per essere sicuro che sia tutto a posto e che non sia danneggiato, imballarlo un’altra volta, rimettergli un’altra etichetta e poi rimetterlo in vendita. Senza dimenticare, poi, il carburante utilizzato per andare a prendere a casa e per riportare fino alla ditta quel reso.
È chiaro come un procedimento del genere sia altamente impattante per l’ambiente. Questo è uno dei motivi per cui molte aziende stanno rinunciando ai resi. Certo, c’è anche da considerare che è un procedimento lungo e costoso che di sicuro non conviene ai rivenditori: pensando in maniera cinica forse i rivenditori pensano più a una questione di costi che non di impatto sull’ambiente.
Qualche rivenditore ha così deciso di chiedere ai clienti di non restituire più i prodotti, bensì di tenerseli. Ma anche qui l’ambiente non ringrazia. Questi ordini andati a male a volte finiscono subito per essere buttati via, il che aumenta il quantitativo di rifiuti che finiscono nelle discariche.
Altri rivenditori, invece, per scoraggiare i resi, al posto di eliminarli del tutto, stanno chiedendo delle tariffe minime che vanno dai 3 ai 5 euro a seconda dell’azienda. Ma i clienti come stanno prendendo questa cosa? Il fatto di mettere una tariffa minima dovrebbe spingere le persone a controllare meglio ciò che stanno acquistando. C’è anche da dire, però, che, soprattutto con i vestiti, se ci fossero descrizioni più precise degli articoli in vendita, soprattutto per quanto riguarda le taglie, sarebbe tutto molto più semplice.
Anche perché le foto, a volte, sono ingannevoli: per quanto uno possa leggere la descrizione di quel vestito, indossarlo poi è tutto un altro conto. Però, come clienti, dobbiamo anche rispettare maggiormente l’ambiente. Ammettiamolo: a volte con la storia dei resi gratuiti ci facciamo prendere un po’ troppo la mano, finendo con l’ordinare cose che, palesemente, sappiamo già a priori che non indosseremo o che non useremo. Ma la scusa del “Tanto poi al massimo faccio il reso” adesso non regge più. Possiamo aiutare l’ambiente anche modificando queste piccole e cattive abitudini che abbiamo preso.
A proposito: hai un vestito bucato? Perché al posto di buttarlo via non provi a ricucirlo? Ci sono dei buoni motivi per farlo.