Qualche anno fa, balzò agli onori della cronaca la notizia di un noto calciatore cinquantenne, finito in terapia intensiva per aver mangiato frutti selvatici simili a grandi ciliegie. Qualche anno dopo è il turno di una donna di Teramo, che dopo aver condito l’insalata con le foglie di un pianta ha rischiato la vita. Oggi vogliamo parlare della bacche di Belladonna, una pianta che si è guadagnata un posto tra le specie velenose.
Le bacche della belladonna sono uno dei frutti più velenosi che si possono trovare nella natura. Queste bacche hanno un aspetto attraente, grazie al loro colore rosso vivo e alle dimensioni simili alle ciliegie.
La storia e gli utilizzi delle bacche di Belladonna
La storia dell’uso della belladonna risale all’antichità. I greci e i romani le usavano come medicina per trattare una serie di disturbi, come l’asma, il mal di testa e l’insonnia. Durante il Rinascimento poi, divenne un ingrediente comune in molti cosmetici, sebbene fosse anche nota come un potente veleno.
Tuttavia è nel XVIII secolo che questi piccoli frutti hanno guadagnato una grande popolarità come dilatatori della pupilla, grazie alla scoperta dell’atropina, uno dei principali composti biologicamente attivi presente nelle bacche. L’effetto di dilatazione della pupilla è stato utilizzato per realizzare occhiali per le signore, offrendo loro uno sguardo più ampio e seducente. Da qui è derivato il nome “belladonna”.
Eppure queste bacche contengono diversi alcaloidi tossici, tra cui l’atropina, la scopolamina e l’iposcina. Questi composti sono altamente velenosi e possono causare una serie di effetti sulla salute umana.
Gli alcaloidi in particolare sono in grado di bloccare i recettori del cervello, interferendo con le normali funzioni del sistema nervoso. Ciò può portare a sintomi come visione offuscata, allucinazioni, disorientamento, convulsioni e persino coma.
Inoltre possono agire negativamente sul sistema nervoso. Aumentano infatti la frequenza cardiaca e la pressione causando gravi scompensi a chi soffre di queste particolari patologie.