Centinaia di imprese siciliane rischiano di dover chiudere per fallimento, aderenti al consorzio di tutela dei pomodori di Pachino. Nonostante il frutto dovrebbe, in teoria, essere fuori stagione, ancora oggi i raccolti sono floridi.
Le temperature insolite, superiori ai 22 gradi, sarebbero di per sé una nota positiva, se solo i prezzi troppo elevati non rischiassero di mettere a repentaglio il modello di business. Il forte rincaro applicato dai distributori finali spinge i consumatori a prediligere ferire soluzioni meno costose, anche per via della crisi economica oggi attraversata.
Pomodori di Pachino: il consorzio lancia un grido d’allarme
Nel caso di parecchie famiglie, il risparmio è oggi più che mai un obbligo anziché una scelta. Le difficoltà a sbarcare il lunario dipendono principalmente dal forte aumento dell’importo in bolletta per i servizi di luce e gas.
Inoltre, il caro carburanti (con il taglio delle accise non confermato per il 2023) e l’inflazione pesano in maniera allarmante. Dunque, la popolazione deve prestare maggiore attenzione alle uscite, pure in ambito alimentare.
Attraverso una nota ufficiale, il Consorzio di Tutela del pomodoro Pachino IGP fa suonare la sveglia. Di questo passo, diverse aziende appartenenti al gruppo non avranno la possibilità di andare avanti a lungo. Tonnellate di pomodori rimangono tuttora invenduti.
Il prezzo applicato dal produttore è basso, anche sotto il punto di pareggio, ma, per tanti fattori, quando arriva sui banchi di vendita al dettaglio è uno dei più elevati. In nome del profitto – lamenta il presidente Sebastiano Fortunato – avviene il rincaro, oltremisura.
I costi accessori associati, a cominciare dal trasporto e dal confezionamento, ovviamente incidono, tuttavia bisognerebbe evitare la speculazione. Altrimenti, i pomodori di Pachino, un’eccellenza del Made in Italy nota e apprezzata da ogni parte del mondo, potrebbero sparire in futuro.
Quindi, Fortunato fa un appello al Governo affinché si interesse della situazione drammatica, prendendo atto della forte concorrenza sleale, dove il costo della manodopera incide per il 10 per cento, contro il 60 del consorzio italiano.