Ci hanno sempre detto che i sacchetti biodegradabili che usiamo nel bidone sull’umido sono la soluzione alternativa all’utilizzo dei sacchetti di plastica. Solo che adesso si sta mettendo in dubbio anche questo. E se i sacchetti dell’umido non fossero poi così biodegradabili come ci sono sempre stati pubblicizzati?
Uno studio realizzato dal Fraunhofer Institute for Chemical Technology, in collaborazione con le Università di Bayreuth, Hohenheim e la BEM Umweltservice GmbH sta viaggiando nella direzione opposta, sostenendo che per i rifiuti organici (l’umido in pratica) non dovremmo assolutamente usare i sacchetti biodegradabili.
Assolutamente discordi dai risultati ottenuti da questo studio, però, sono associazioni come Assobioplastiche e Consorzio Biorepack che, a seguito della divulgazione pubblica di questi risultati, si sono affrettati a ribattere prontamente.
Perché i sacchetti dell’umido biodegradabili non sarebbero biodegradabili?
Lo studio in questione ha esaminato i dati derivanti dalla raccolta differenziata, con particolare riferimento all’umido e ai suoi sacchetti biodegradabili. Negli impianti di riciclo dell’umido, la prima cosa che viene fatta è la separazione fra il sacchetto e il contenuto (quest’ultimo viene poi trasformato in compost). Solamente che parte dei sacchetti biodegradabili rimangono appiccicati ai rifiuti e non trascorre abbastanza tempo nell’impianto per degradarsi del tutto (questo secondo quanto dichiarato dallo studio).
Il che vuol dire che parte di questi sacchetti vengono ridotti a minuscole particelle che rimangono nel compost. Quindi quel compost è pieno di microplastiche che finiscono con l’inquinare il terreno per periodi prolungati.
Lo studio dunque sostiene che non bisognerebbe inserire i sacchetti biodegradabili negli impianti di riciclo dei rifiuti organici. In pratica o si tolgono del tutto prima o li si lascia lì abbastanza tempo affinché si degradino sul serio. L’alternativa, dunque, sarebbe quella di usare i sacchetti di carta. Già, ma che impatto avrebbero sulle foreste?
La replica di Assobioplastiche e Consorzio Biorepack
A questo punto, però, sono intervenuti Assobioplastiche e Consorzio Biorepack che si sono affrettate a contestare quanto affermato da questo studio. Le due associazioni hanno parlato di “informazioni scorrette e lesive per l’immagine e la reputazione della filiera”. Come sempre, in questi casi bisogna ascoltare entrambe le campane.
Assobioplastiche e Consorzio Biorepack sostengono che lo standard europeo EN 13432 garantisce che i sacchetti biodegradabili compostabili certificati sono compatibili con i cicli di trattamento degli impianti di digestione anaerobica e compostaggio. Anche il Consorzio Italiano Compostatori ha sottolineato più volte la totale compatibilità delle bioplastiche certificate compostabili con questi sistemi di trattamento organico.
Test svolti sia in laboratorio che in condizioni reali hanno ribadito che le bioplastiche compostabili si sono disintegrate del tutto. E la stessa cosa hanno più volte dimostrato impianti di riciclo organico.
Il problema non è dunque collegato alle bioplastiche, ma, come sottolineato dal CIC, il problema è rappresentato dalla presenza di materiali non compostabili come plastica, vetro o metallo che vengono messi a sproposito nel bidone dell’umido e che finiscono con il ridurre la quantità di compost prodotto.