Nell’emisfero nord del Pianeta l’acqua in bottiglia viene preferita a quella del rubinetto poiché ritenuta più sicura, in quello sud vi si ricorre poiché mancano strutture idriche pubbliche di valore adeguato. Già da qui capiamo come il mondo viaggi a due velocità differenti, anche per un bene che dovrebbe essere assicurato a chiunque.
Milioni di persone nel mondo perdono ancora la vita ogni anno a causa della sua scarsità in certi territori. Il primo pensiero va all’Africa, il continente maggiormente colpito, ma pure in altre aree la questione risulta essere drammatica.
Come l’industria dell’acqua in bottiglia inasprisce le diseguaglianze
Più l’industria dell’acqua in bottiglie di plastica crescerà, più il problema finirà per acuirsi. Ed è, purtroppo, quanto sta già accadendo, secondo un rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite, in collaborazione con la canadese McMaster University. I dati raccolti mettono in luce gli enormi volumi d’affari registrati dalle compagnie attive nel comparto, che, durante gli ultimi 50 anni, hanno aumentato a vista d’occhio i risultati economici.
La spasmodica ricerca del profitto ha peggiorato una situazione già parecchio delicata, meritevole di maggiore studio. Dal 2010 al 2020 le aziende operanti nella filiera hanno aumentato il fatturato del 73 per cento e, da qui alla fine del decennio, i numeri sono destinati a lievitare esponenzialmente. Sulla base dei valori registrati, entro il 2030 il fatturato dovrebbe raddoppiare, passando da 270 miliardi di euro l’anno a quasi 500 miliardi.
Una questione da analizzare riguarda poi lo smaltimento delle stesse bottiglie, dopo aver esaurito la loro funzionalità. Attualmente, come rapporto totale, appena il 15 per cento giunge in discarica, mentre tutto il resto viene lasciato sul territorio e nel mare. Oltre all’impoverimento delle risorse, il settore dell’acqua in bottiglia ha, quindi, un pesante impatto a livello di rifiuti. Grazie alla denuncia delle Nazioni Unite anche la popolazione ha ora un maggior grado di consapevolezza.